di Antonio Facchin
Prendiamo un po’ di cinema d’autore, un pizzico di America trumpiana capovolgendone i ruoli sociali (ma non troppo), aggiungiamo un pizzico di psicologia sociale e di parapsicologia, qualche goccia del socratico conosci te stesso. Shakeriamo e serviamo on the rocks su un vassoio dipinto di rosa. E sorseggiamo a occhi chiusi se non siamo in spiaggia a Malibu in compagnia di una bionda mozzafiato (o di un biondo palestrato, se preferite)… e Barbie è servito.
Il film campione d’incassi ha esaurito le scorte planetarie di tintura rosa, ha consacrato la pluricandidata agli Oscar Margot Robbie quale “Barbie vivente”, ha contribuito a creare il meme trend topic Barbienheimer, crasi con il rivale campione d’incassi americano Oppenheimer. Il film sulla bambola per antonomasia considerato femminista e che tuttavia lo è solo ed esclusivamente nel mondo delle bambole; un mondo inconciliabile con quello dei “bamboli” poiché completamente asessuato. Un mondo che, fortunatamente, “incrina” la sua superficie patinata per effetto dei sentimenti.
Successo è potere
Femminile è ovviamente la regia del film, affidata alla giovane ma già affermata Greta Gerwig. Interprete principale e produttrice, con il suo sorriso che illumina lo schermo e fisico giunonico, è la brava Margot Robbie, che avevamo già apprezzato in The Wolf of Wall Street, Tonya, C’era una volta a…Hollywood e Bombshell. Raccontato dalla voce narrante di Helen Mirren, il film ha visto impennare le azioni della Birkenstock, rilanciando al tempo stesso una ormai asfittica Mattel. E fra i vari cameo vede quello di un’altra giovane donna di successo: Dua Lipa, che canta il brano principale della colonna sonora e interpreta nel film una delle innumerevoli versioni della fashion doll più nota al mondo, fin dal 1959.
Una satira sociale
Come Gulliver’s Travels, I viaggi di Gulliver, di Jonathan Swift è passato alla storia per essere “roba da ragazzi” – ma nella storia della letteratura è stato immortalato quale testo di raffinata satira politica – Barbie è di fatto un film di satira sociale. Disseminato di omaggi al cinema tra cui 2001 Odissea nello spazio, a Forrest Gump e Matrix, ma con ironia. Basti dire che il libero arbitrio qui viene messo a dura prova tra la scelta di un décolleté a tacco alto e un comodo ma penalizzante sandalo Birkenstock.
Il film si prende giustamente gioco del maschilismo e di un management tutto maschile – quello della Mattel – che ha portato l’azienda sull’orlo del collasso. E confida nella dissonanza cognitiva come unica via di salvezza del mondo, ma ricorre in extrema ratio alla parapsicologia.
Peccato però che il motto latino in medio stat virtus, la virtù sta nel mezzo, non sia materia per i blockbuster hollywoodiani. Nel rutilante musical firmato da Greta Gerwig tutto è dunque estremo, paradossale, improbabile. Come l’implicito richiamo all’assoluto opposto di Barbie, ovvero la Ugly Betty di America Ferrera che nel film interpreta l’alter ego della bambola.
E se la prima parte di Barbie, sotto lo zuccheroso “smalto” rosa rivela la sagace e pungente denuncia di una società ingiusta, la seconda parte si sfilaccia e perde mordente quando arriva la metafisica a rendere tutto più cupo, saccente e in ultima analisi noioso.