Questa settimana l’Alta Corte del Regno Unito deciderà se consegnare Julian Assange agli Stati Uniti, ove dovrà scontare 175 anni di reclusione. Estradizione per la quale è stato avanzato ricorso da ormai due anni. Il giornalista cinquantaduenne noto per aver fondato WikiLeaks e avervi pubblicato documenti e informazioni riservate sulle attività militari e diplomatiche degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan (tra cui prove di crimini di guerra), è detenuto in regime di massima sicurezza dal 2019, in condizioni che hanno finito per metterne a dura prova corpo e spirito.
E lunedì 19 febbraio 2024 Riccardo Iacona aprirà la nuova stagione del suo PresaDiretta – in onda in prima serata su Rai3 – proprio sul caso Assange.
Caso che vedrà, entro il fine settimana, il pronunciamento di due giudici relativo al veto di prima istanza del 6 giugno scorso su un ulteriore appello da parte dei legali dell’attivista sull’estradizione decisa nel 2022. Qualora il ricorso non venisse accolto, non si avrebbe dunque più alcuna possibilità di azione legale nel Regno Unito, e alla famiglia rimarrebbe solo l’ultima ratio di un eventuale ricorso alla Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo.
Numerosi si sono susseguiti, nel corso degli anni, gli appelli della moglie, Stella Assange, avvocato e già attivista per i diritti civili ben prima del caso WikiLeaks, a tutela della libertà di stampa nel mondo. Su un caso che ha assunto connotati politici fin dai sette anni trascorsi da Assange in stato di cattività nell’ambasciata dell’Ecuador (da cui fu prelevato per conto del governo britannico) per un’accusa di stupro che lo colpì nel 2011, poi archiviata.
Il caso Ellsberg
Quale argomento a sostegno della scarcerazione di Assange, è la storia recente a offrire un precedente. Ovvero il caso di Daniel Ellsberg e dei suoi Pentagon Papers (1967), nei quali denunciava all’opinione pubblica le “porcherie” perpetrate dall’esercito americano durante la guerra in Vietnam. La vicenda fece tremare l’establishment americano, ma Ellsberg non venne condannato neanche a un giorno di carcere, perché “la sua libertà di fare informazione fu ritenuta superiore alle leggi sulla riservatezza degli atti pubblici“. E non servirono a nulla le manovre diversive del Segretario alla difesa McNamara.
Il “caso” Julian Assange
La mattina dell’11 aprile 2019 gli agenti della polizia britannica irrompevano nell’ambasciata dell’Ecuador per prelevare con la forza Julian Assange. Giornalista, programmatore informatico, attivista australiano, nonché fondatore del sito web WikiLeaks, nato allo scopo di rendere pubblici documenti coperti da segreto garantendo l’anonimato alle proprie fonti. Nel 2010 WikiLeaks aveva contribuito alla pubblicazione di quasi mezzo milione di documenti relativi alle guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan.
Accuse “false e manipolate”
Assange era già stato arrestato a Londra nel dicembre 2010, sulla base di un mandato di cattura internazionale spiccato da un tribunale svedese con le accuse di stupro e molestie, per esser rilasciato qualche giorno più tardi. Nel settembre 2011 Assange annunciò quindi di avere reso consultabile in rete, attraverso l’immissione di una parola-chiave, l’intero archivio dei cablogrammi contenenti informazioni confidenziali inviate dalle ambasciate statunitensi al Dipartimento di Stato.
Nel 2012, dopo che la Corte Suprema britannica aveva respinto definitivamente gli appelli contro l’estradizione in Svezia e il conseguente processo per i reati di cui era accusato; Assange si era così rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra chiedendo asilo politico al Paese sudamericano. Asilo revocatogli per l’appunto nell’aprile 2019 “per violazioni della convenzione internazionale”, dando così inizio a un autentico incubo.
Julian Assange da cinque anni nel “carcere più duro del Regno Unito”
Il fondatore di WikiLeaks fu quindi condotto nel carcere di massima sicurezza di HM Prison Belmarsh, ovvero, come leggiamo sull’appello della fondazione Free Assange Italia, “il carcere più duro del Regno Unito”. Carcere nel quale è rinchiuso da cinque anni, “insieme a detenuti pericolosissimi, senza una condanna, in attesa della sentenza del 6 giugno scorso per la quale è stato avanzato un ricorso: l’ultimo possibile nel Regno Unito. Se Assange venisse così consegnato agli Stati Uniti sarebbe sottoposto ad un processo in un tribunale composto da membri non imparziali per finire con tutta probabilità in carcere per sempre“. Solo per aver fatto quello che ogni giornalista dovrebbe fare, cioè informare l’opinione pubblica; alla luce del fatto che quanto ascritto a Julian Assange non ha avuto conseguenze sulla sicurezza degli Stati Uniti.