di Antonio Facchin
Era già accaduto nel 2019: Liliana Cavani e Charlotte Rampling insieme su un palco e un premio alla carriera di cui condividere l’emozione. Allora fu a Berlino, e l’Orso d’oro fu per la protagonista di Portiere di notte. Ieri, al cospetto di un teatro in ovazione, è stato invece per la regista de L’ordine del tempo, da oggi nelle sale cinematografiche.
Alla luce della sua lunga e “difficile” carriera etichettare Liliana Cavani come una regista anticonformista o controcorrente sarebbe riduttivo. Meglio considerarla – come si è definita in un’intervista a Paolo Conti su Sette, il magazine del Corriere della sera – una intellettuale in costante “lotta contro i tabù ideologici” che ha saputo sistematicamente articolare nelle sue opere fino a incorrere negli strali della censura.
Le premesse dell’ultima, ennesima, “provocazione” si trovano nell’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli (pubblicato nel 2017 da Adelphi e divenuto negli anni un best seller internazionale) su un tema di assoluta attualità: quale può essere la nostra concezione del tempo a una sola notte dalla fine del mondo? Un film, insomma, che tratta di fisica quantistica ma non alla Christopher Nolan (il regista di Oppenheimer), bensì in chiave intimista, com’è più consono alla cultura europea.
Il film
Se una notte d’estate un gruppo di vecchi amici riuniti in riva al mare per festeggiare spensieratamente, come ogni anno, un compleanno scoprissero d’improvviso che la fine del mondo è di lì a qualche ora, come vivrebbero il poco tempo rimasto? E soprattutto come percepirebbe ciascuno di loro lo scorrere di quello scampolo di vita rimasto? Questo il tema centrale de L’ordine del tempo, che ha portato sulla spiaggia di Sabaudia un nutrito cast di validi attori tra cui Alessandro Gassmann, Edoardo Leo, Claudia Gerini, Ksenija Rappoport, Francesca Inaudi, Angela Molina, a dar forma a tutte le sfumature dell’incertezza. Un film prodotto da RaiCinema, scritto dalla regista assieme al fisico Carlo Rovelli, con la collaborazione alla sceneggiatura di Paolo Costella.
Un’innata tendenza a scardinare tabù ideologici
Già premiata a Venezia nel 1965 per il documentario Philippe Pétain: processo a Vichy, Liliana Cavani vanta una vasta e variegata filmografia che spazia da Il portiere di notte (1974) a Milarepa (1974), film tratto da un testo tibetano del XII secolo. Da I cannibali (1970) a Galileo (1968), mai trasmesso dalla Rai per le pressioni del Vaticano. Da Dove siete? Io sono qui, premiato con la Coppa Volpi ad Anna Bonaiuto, a La pelle, film penalizzato a Cannes nel 1981 dove proprio I cannibali avevano ottenuto il premio della Quinzaine nel 1970.
A tal proposito, nel numero di Ciak attualmente in edicola, la regista confida a Alessandra De Luca che allora “in giuria c’era Susan Sontag. Il film fu poi scelto per il Festival di New York dove piacque talmente tanto che la Paramount voleva comprarlo, ma pretendeva che cambiassi il finale, dove Antigone viene uccisa”. Ma la regista, forte della sua formazione classica, si oppose. E ne ricordiamo su RaiStoria anche una serie di preziosi documentari realizzati negli anni Sessanta per la tv di Stato di cui era allora dipendente, fra i quali Storia del Terzo Reich e L’età di Stalin.
Il carattere rivoluzionario di Francesco d’Assisi
E tuttavia, il fattore singolare della produzione artistica di Liliana Cavani risiede nel fatto di aver dedicato ben tre film a Francesco d’Assisi (rispettivamente nel 1966, 1989 e 2014), ponendo sempre in scena un giovane “eroe” scevro da luoghi comuni, rappresentandone la portata geniale e rivoluzionaria della sua predicazione e narrandolo dal punto di vista “ateo” di chi sa ben distinguere fra Cristianesimo e Cattolicesimo. Un Francesco d’Assisi apprezzato da Papa Bergoglio e che precorreva i tempi del progresso scientifico. “La sua fraternitas nasce da un’idea modernissima: tutti siamo fatti della stessa materia. Esseri umani, animali, la natura”. In una universale connessione che coinvolge tutto e tutti (Sette/Corriere della sera). Un tema che la regista ribadisce ne L’ordine del tempo nell’approfondire il rapporto tra scienza e fede.
La censura
Ed è in un’intervista del 2015 rilasciata a Malcom Pagani che Liliana Cavani confessa le sue vicissitudini con la censura. A partire da quando, per non scontentare i tedeschi in tempi di Guerra Fredda, la Rai mitigò l’iniziativa della regista di raccontare gli orrori del Reich in una serie di documentari. Ma l’aneddoto più interessante riguarda proprio Il portiere di notte, che uscì nel 1974 a Parigi poiché il produttore americano del film, Bob Edwards, ci riteneva troppo “bigotti”.
In breve, il film racconta di una relazione capovolta, dai tratti sadomaso, tra una sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti e il suo aguzzino. A lavoro ultimato, qualche precauzione fu presa anche in Francia: pur avendone la possibilità, il film non fu presentato al Festival di Cannes. Quando poi la pellicola approdò in Italia, la regista venne prontamente convocata dalla commissione censura che decise di vietarne la visione ai minori di 18 anni. Il motivo? La scena di sesso in cui Charlotte Rampling fa l’amore in posizione dominante. Ma, come spesso capita, fu anche la censura a decretarne il successo.
IL TRAILER DE L’ORDINE DEL TEMPO