Mentre la storia si ripete, la filosofia antica torna d’attualità. Come accadde al tempo della pandemia, il contrasto alla scienza – soprattutto se giovane, come quella della sostenibilità – è diventato oggetto di strumentalizzazione politica. E dopo la levata di scudi di Coldiretti contro la carne “coltivata”, la tempistica della protesta dei trattori non pare casuale, a breve distanza dal prossimo rinnovo dei vertici europei; nonostante alcune sue rivendicazioni siano di indiscutibile condivisione.
La cosiddetta protesta dei trattori ha assunto da qualche settimana grande rilevanza mediatica, nonostante l’apertura al dialogo dell’Unione Europea sulle limitazioni assunte nel quadro del Green Deal: un pacchetto di iniziative strategiche alla base di una transizione verde che abbia per fine a lungo termine la neutralità climatica, come stabilito nell’accordo di Parigi, da raggiungere entro il 2050. Un iter intrapreso nel 2019, accompagnato in questi anni dai fenomeni estremi legati al cambiamento climatico. Con un una serie di iniziative su clima, ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile, considerati nella loro interconnessione. Come quella che i filosofi greci antichi riconoscevano ai quattro elementi primordiali: aria, acqua terra e fuoco, a dar vita all’umanità.
I motivi della “protesta dei trattori”
Quella dei trattori è una protesta di ragguardevoli dimensioni che ha suscitato all’estero più di un problema di ordine pubblico e che, al di là dei suoi particolarismi, trova tutti d’accordo su alcune istanze. Prima fra tutte il contenimento del costo del gasolio, in costante aumento negli ultimi anni soprattutto in Italia, rispetto a Francia e Germania. Ma anche nelle richieste contro la politica agricola comunitaria, l’ampio divario tra il costo del prodotto al dettaglio e quanto riconosciuto ai produttori, prede degli istituti bancari. Cui si associa la protesta in materia fiscale e contro gli obiettivi del Green Deal, giudicati troppo vincolanti per la richiesta di dimezzare l’impiego di fitofarmaci entro il 2030. E ultimo, ma non per importanza, il contrasto alla concorrenza e l’assenza di politiche protezionistiche. Ma l’idea che in tutto ciò l’Europa possa assurgere ad avamposto nel mondo soprattutto sul dispiego di quei fitofarmaci che – oltre a inquinare terre e fiumi hanno decimato le api – non è tra gli interessi di Coldiretti.
La scienza della sostenibilità e la sua visione olistica del mondo
La sostenibilità è la disciplina che analizza il rapporto tra uomo e ambiente studiando i vari fattori che regolano questa complessa relazione. Con lo scopo di offrire soluzioni pratiche per uno sviluppo sostenibile che tengano conto delle ripercussioni ambientali, economiche e sociali di ogni nostra scelta. La sostenibilità indica in questo caso il processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono tutti volti a valorizzare il potenziale attuale e futuro senza compromettere i bisogni dell’umanità.
Come tutte le discipline applicate anche la sostenibilità ambientale richiede una visione strategica da attuare nel favorire la creazione di più aree verdi, l’ottimizzazione della viabilità all’interno degli spazi urbani, la riduzione dell’impatto ambientale nella produzione industriale in relazione all’emissione di anidride carbonica, il ricorso a tecnologie green e a fonti di energia rinnovabili, oltre all’adozione di stili di vita individuali che prediligano il giusto utilizzo delle risorse a disposizione, minimizzino gli sprechi e prevedano il corretto smaltimento e riciclo dei prodotti consumati: in altri termini reuse, reduce, recycle.
Il concetto di sostenibilità divenne ambientale in occasione della prima conferenza ONU sull’ambiente nel 1972, anche se soltanto nel 1987, con la pubblicazione del Rapporto Brundtland, ne venne definito con chiarezza un obiettivo assurto poi a paradigma di sviluppo in occasione della conferenza ONU su ambiente e sviluppo del 1992. Ma solo nel 2015, con L’Agenda 2030 sottoscritta da 193 Paesi delle Nazioni Unite, tra cui l’Italia, si è arrivati all’individuazione di cinque concetti chiave, sintetizzati in 5 “p”: people, planet, prosperity, peace, partnership.
Per uno sviluppo sostenibile
Il principio cardine della sostenibilità è lo sviluppo sostenibile, che coinvolge al pari l’ambito ambientale, sociale ed economico. Queste tre dimensioni concorrono insieme alla definizione di benessere e progresso. La sostenibilità ambientale non può dunque prescindere da quella sociale che il Rapporto Brundtland del 1987 definisce un “equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di far fronte alle proprie“. Sostenibilità economica è invece essenzialmente l’analisi, lo studio e l’applicazione in chiave finanziaria di un processo economico affinché esso possa esprimere efficacia in una prospettiva temporale. Dando origine a processi che, nella loro sostenibilità economica, riescano a utilizzare le risorse a un ritmo naturale: tale cioè da consentir loro di rigenerarsi.
I nemici della sostenibilità
A mettere a rischio il raggiungimento dello stato di benessere e progresso attraverso le tre dimensioni della sostenibilità esistono diversi fattori: il degrado ambientale, il cambiamento climatico, il sovraconsumo, l’incremento demografico e la crescita economica incontrollata in un sistema chiuso.
Per contrastare dunque gli effetti di questi fattori, è indispensabile che in ambito ambientale, economico e sociale venga adottato il principio della circolarità. L’economia circolare, è infatti l’unico modello ideale di produzione e consumo attento alla riduzione degli sprechi delle risorse naturali e consistente in condivisione, riutilizzo, riparazione e riciclo di materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile.
Per una sostenibilità partecipativa
Dalla partecipazione attiva dei cittadini possono dipendere sostanziali cambiamenti. Partecipare attivamente a politiche di sostenibilità significa informarsi e adottare comportamenti responsabili a partire da un consumo consapevole, che tenga cioè conto del processo di produzione, dell’impatto ambientale (di quello del fast fashion ha trattato recentemente Report), della qualità in rapporto al prezzo del bene acquisito, anche in ambito agroalimentare; adottare e promuovere stili di vita improntati alla sostenibilità, riducendo gli sprechi e utilizzando in modo razionale le risorse. Scegliere laddove possibile l’utilizzo di risorse da fonti rinnovabili come nel caso di quelle energetiche, in condivisione.
Ma partecipazione attiva significa anche esercitare pressioni su governi e imprese affinché adottino politiche e pratiche improntate alla sostenibilità; con l’espressione di voto, e con petizioni e proteste, sia in ambito nazionale, sia comunitario.
Diffondere infine la cultura della sostenibilità a partire dalla propria cerchia familiare fino ad amici e conoscenti perché la conoscenza e l’azione individuale sono più efficaci in un quadro di partecipazione collettiva. Nella consapevolezza che dallo stato del Pianeta dipende la vita delle generazioni future.