Si può ancora parlare di un quarto potere – quello del giornalismo per antonomasia – quando sono così poche le voci a sollevarsi contro il potere politico in un paese democratico? Un paese cioè che sancisce nella sua Costituzione l’equilibrio tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario? E soprattutto i conflitti d’interessi che informano da decenni la politica italiana fino a svuotarla completamente della sua funzione troveranno mai un argine? Difficile dirlo.
Fatto sta che mentre il Censis ci riconosce sonnambuli, il giornalismo d’inchiesta in Rai diventa sempre più difficile. Anzi, quasi impossibile se si considerano i numerosi casi in cui i politici non rispondono più alle domande sugli interessi privati favoriti dalle cariche che ricoprono, cariche spesso cumulate. Ricorrendo preventivamente allo strumento della querela (espediente descritto anche da Giovanni Valentini nel suo Romanzo del giornalismo italiano), oppure una volta interpellati da trasmissioni come Report, negano l’evidenza, rispondono in privato (cioè senza l’interlocuzione del giornalista) per poi concertarne il discredito sulle stesse reti di Stato.
Proprio sul rapporto tra politica e magistratura, e tra libertà d’espressione e giornalismo, si sono confrontati recentemente Sigfrido Ranucci e Duilio Giammaria nel Gocce di petrolio dal titolo Giochi di potere (trasmesso da Rai3 il 2 dicembre scorso, ora su RaiPlay), cui si riferiscono le immagini.
Delitti senza castigo
“È sparito il conflitto, sono rimasti gli interessi” è l’incipit di un commento su La Repubblica del 1° dicembre di Michele Ainis che definisce addirittura i conflitti d’interesse “delitti senza castigo” sulla base del fatto che la legge del 2004 a firma Franco Frattini che li regola è un’“arma spuntata. Il giornalista coglie però l’occasione per fare un elenco aggiornato ai più recenti: dall’affaire Gasparri, presidente di Cyberealm, società di cybersecurity, all’insaputa di quel Senato che presiede in assenza di La Russa. A Daniela Santanchè “imprenditrice balneare promossa a ministra del Turismo (e delle spiagge)”, al centro di più di un’inchiesta giudiziaria.
Due casi che di certo non aiutano i colleghi di governo. Primo fra tutti Guido Crosetto, ministro “trasmigrato dalla guida d’aziende che fabbricano armi alla guida del ministero che gestisce gli armamenti”. Che recentemente si è scagliato contro la magistratura – che nei suoi confronti nell’anno di esercizio di governo non si era minimamente espressa – per poi minimizzare l’accaduto. Mentre sui conflitti d’interesse del sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi l’Antitrust ha aperto un’istruttoria su segnalazione dello stesso ministro Sangiuliano.
Ma se Silvio Berlusconi aveva fatto del conflitto d’interessi la sua vocazione, c’è chi non ne ha trascurato l’esempio: è Matteo Renzi, senatore della Repubblica Italiana “ma retribuito in qualità di consulente dell’Arabia Saudita”, come riferito da Michele Ainis, e direttore di una testata giornalistica: Il Riformista. Mentre Giulia Bongiorno, “presidente della Commissione Giustizia del Senato e al contempo avvocato in molteplici processi, anche contro i congiunti dei suoi oppositori politici”, come il giovane Grillo, alla sbarra in un processo per stupro collettivo. Dove, per converso, dal conflitto d’interessi si passa all’abuso di potere. Perché Grillo, com’è noto, attore comico assurto a leader politico, ha usato la sua “popolarità” per esprimersi con veemenza contro l’imputazione. E il reato per cui suo figlio è sotto processo è lo stesso paventato ad altra progenie “eccellente”: quella del Presidente del Senato Ignazio La Russa.
Dei trust da Antitrust
Ma, tornando al conflitto d’interessi, se non se ne trasferisce la titolarità nell’assumere incarichi politici, la legge affida l’intervento all’Antitrust, senza tuttavia dotarla di poteri coercitivi. Come Ainis informa, “quell’autorità di garanzia, dopo i propri accertamenti, può solo inviare una segnalazione ai presidenti delle Camere, affidandosi al loro intervento. Che nel migliore dei casi consisterà in un monito, un rimbrotto, una tirata d’orecchi”, definendo la lacuna politica “uno scandalo, più grave degli scandali politici che lascia sopravvivere”.