Garrone batte Cortellesi 7 a 6. Sembra l’esito di un match sportivo, e di fatto lo è: di un’amichevole a Cinecittà. Nonché il numero di David di Donatello che Matteo Garrone e Paola Cortellesi hanno rispettivamente conquistato con i loro Io Capitano e C’è ancora domani. A dimostrazione del vigore e competitività del cinema italiano, del ruolo da protagonista di Cinecittà nel contesto cinematografico internazionale e dell’importanza culturale del cinema, soprattutto quando affronta tematiche “scomode”. Come dimostrano i film premiati dagli “addetti ai lavori” chiamati di volta in volta sul palco da Alessia Marcuzzi e Carlo Conti, in una diretta televisiva di una qualità addirittura superiore all’alta definizione, dal Teatro 5 di Cinecittà.
Io Capitano miglior film, Matteo Garrone miglior regista
Sbaragliando una concorrenza eccellente che annoverava Rapito di Marco Bellocchio, Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti, La Chimera di Alice Rorhwacher e il “favorito” C’è ancora domani di Paola Cortellesi, Io Capitano è il miglior film della 69° edizione dei David di Donatello. A metà strada fra un road-movie e un docu-film (al netto di una licenza poetica) sulla migrazione dall’Africa all’Europa, la detenzione nei lager libici e la disperata e rischiosa traversata del Mediterraneo – girato lungo la cosiddetta rotta sub-sahariana – Io Capitano si è aggiudicato anche i premi per la migliore regia, produzione (a Paolo Del Debbio di RaiCinema fra Archimede, Pathè e Tarantula) fotografia (Paolo Carnera), montaggio (Marco Spoletini), suono (Maricetta Lombardo per la presa diretta, Daniela Bassani per il montaggio, Mirko Perri per la parte creativa e Gianni Pallotto per il mixaggio) e per gli effetti visivi VFK (Laurent Creuset e Massimo Cipollina). Con questo film Matteo Garrone ha portato il problema della migrazione alla ribalta internazionale grazie anche ai numerosi riconoscimenti ricevuti in tutto il mondo e alla partecipazione all’ultima edizione degli Oscar.
Paola Cortellesi miglior attrice protagonista, regista esordiente (e recordwoman)
Manifesto “femminista” contro la violenza domestica, C’è ancora domani ha piacevolmente sorpreso pubblico (il film ha attirato in sala oltre 5 milioni di spettatori) e critica per la sua attualità e presa sugli spettatori. Ambientato nella Roma postbellica nell’anno in cui le donne votarono per la prima volta in Italia (1946) – girato in un bianco e nero di stampo neorealista – il film ha preso forma dai ricordi e racconti d’infanzia di Paola Cortellesi che l’ha interpretato, diretto nonché scritto con Giulia Calenda (figlia d’arte di Cristina Comencini) e Furio Andreotti, premiati per la migliore sceneggiatura originale.
Paola Cortellesi ha ricevuto il David quale migliore attrice protagonista da una commossa Anna Foglietta; premio che è andato a unirsi a quello per il miglior esordio alla regia, per aver portato in sala il maggior numero di spettatori, per aver conquistato il voto di una giuria composta da adolescenti, perlopiù studenti di scuola media superiore. A C’è ancora domani è legato anche il David per la migliore attrice non protagonista vinto da Emanuela Fanelli e un tour virtuale per sollecitare l’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole d’Italia.
Due grandi attori in Palazzina LAF
E se Paola Cortellesi ed Emanuela Fanelli erano migliori attrici nello stesso film, altrettanto accadeva in Palazzina LAF, l’omaggio ad Alessandro Leogrande autore di Fumo sulla città cui il film si ispira, interpretato e diretto (al suo esordio alla regia) da Michele Riondino per denunciare quanto accadeva alla fine degli anni 90 in una sezione dell’Ilva di Taranto denominata LAF (acronimo di laminatoio a freddo): il luogo in cui venivano confinati e “mobbizzati” tutti gli impiegati che si opponevano al declassamento: nel rispetto dell’articolo 18, che ne impediva il licenziamento, questi lavoratori venivano infatti “condannati” all’inattività. Nel raccontarne la loro “difficile” storia, Michele Riondino se ne è reso così il miglior attore protagonista mentre Elio Germano ne era il miglior attore non protagonista. A Palazzina LAF è andato anche il premio per la migliore canzone originale riconosciuto a Diodato per La mia terra.
Rapito, migliore sceneggiatura non originale
Il David di Donatello per la migliore sceneggiatura non originale è andato a Marco Bellocchio e Susanna Nicchiarelli per Rapito che ha fatto incetta di premi “tecnici”: per la migliore scenografia (Andrea Castorina), arredamento (Valeria Vecellio), costumi (Sergio Ballo e Daria Calvelli), trucco (Enrico Iacoponi) e acconciatura (Alberta Giuliani).
Sacrificati nel migliore dei casi sull’altare della più avanzata innovazione tecnologica, la consegna dei premi “tecnici” si è tenuta prevalentemente – accompagnata da polemiche – nel Teatro 18 di Cinecittà: quello dotato di un maestoso lead-wall tra i più avanzati in Europa, vanto di Cinecittà S.p.A.. Quello più moderno fra i teatri di posa frequentati ormai da tempo da quei cineasti di fama internazionale che ci preferiscono a Hollywood; nonché dalle più importanti case di produzione televisive e dai fortunati visitatori alla ricerca anche della Cinecittà che fu di Federico Fellini, che del Teatro 5 fece il suo quartier generale.
Giorgio Moroder, il Signore dei sintetizzatori
Nome indissolubilmente legato al ricordo di Donna Summer, e di colonne sonore che sono a pieno titolo nella Storia del cinema, Giorgio Moroder ha ricevuto il David di Donatello alla carriera dalle mani di Giorgia, tra un’ovazione e una rivisitazione techno-pop di I Feel Love che – di spot pubblicitario in spot – ha ormai 47 anni (senza dimostrarli). Premio alla carriera anche a Milena Vukotic mentre un David di Donatello speciale è andato a Vincenzo Mollica.
Anatomia di un successo
Il David di Donatello per il miglior film straniero è passato dalle mani di Isabella Rossellini a quelle di un’emozionata Justine Triet per Anatomia di una caduta, film che ha rappresentato il “nuovo”cinema francese agli ultimi Oscar, in lizza con Io Capitano di Matteo Garrone, La zona d’interesse di Jonathan Glazer (il vincitore) e con il film che è per molti il “capolavoro” di Wim Wenders, Perfect Days, nella categoria dei film stranieri. Campione d’incassi (e critica) Anatomia di una caduta era tuttavia in concorso per l’Oscar anche nella sua categoria principale: quella del miglior film.