Niente meglio del giornalismo fotografico può ritrarre fedelmente uno scenario, soprattutto di guerra, se si esclude l’impiego dell’intelligenza artificiale. È già accaduto infatti che una fotoreporter avesse realizzato un servizio sul conflitto russo-ucraino per poi svelarne l’artificiosità. Ma a Barbara Zanon va riconosciuto comunque il primato di aver documentato pregi e difetti di un mezzo – l’intelligenza artificiale capace di elaborare immagini – maneggiato con destrezza.
All’indomani del 7 ottobre 2023 nulla trapelava da Gaza che Israele non volesse. Ed era ben poco, comunque preventivamente concordato. Motaz Azaiza, un fotoreporter palestinese, era lì. E ha iniziato, non appena possibile, a ritrarre scenari di guerra con la sua macchina fotografica e a trasmetterne le immagini su Instagram. Documentando rovine, dolore, massacri: una voce alternativa ad Al Jazeera.
E mentre qualche giorno fa annunciava di esser costretto a lasciare la Striscia di Gaza per proteggere la sua incolumità (il conflitto in corso ha registrato il bilancio più alto di giornalisti uccisi), nel nostro mondo “bombardato” da immagini e informazioni spesso inutili, Aiziza si è ritrovato addirittura “declassato” a influencer (in un articolo poi rimosso dall’Ansa) per il solo fatto di aver utilizzato, nella sua condizione particolare, Instagram. Diventando così una delle poche fonti d’informazione da una zona dove anche gli aiuti umanitari stentano a penetrare.
Ma appurato che a Gaza l’intelligenza artificiale non c’entri, le sue non sono le uniche immagini che stanno facendo il giro del mondo. Il New York Times ha pubblicato infatti un reportage fotografico di Adam Rouhana, un fotoreporter palestinese, realizzato tra il 2021 e l’ottobre 2023 raccogliendo immagini nella Striscia di Gaza e dintorni, nei suoi viaggi di ritorno in patria dagli Stati Uniti dove è cresciuto, vive e lavora.
Le immagini ritraggono un luogo sì presidiato militarmente, ma in una condizione di relativa pace, ritratto nella sua quotidianità. Immagini a suo dire “sovversive” perché sovvertono i luoghi comuni su un popolo dipinto come terrorista, sprezzante della vita, senza volto, terra, né identità. Dove per identità non si intende solo quella nazionale, ma ormai anche anagrafica.
E dalle immagini traspare tutta l’empatia di Rouhana per un popolo con profondi valori coesivi, pur nella loro essenzialità; valori mai ravveduti nella patria d’elezione. Valori forgiati dai decenni di “cattività a cielo aperto” pericolosamente convissuti. Immagini che mostrano il contrario di una terra di nessuno, di gente senza radici, come la vulgata vorrebbe. immagini che mai – noi – potremmo definire sovversive. Mentre fanno discutere i “sofismi” della Corte dell’Aja (dal Fatto Quotidiano).