Da qualche tempo alcuni marchi di moda – e quelli dei beni di lusso in particolare – hanno scoperto che la sostenibilità, concetto caro all’economia circolare, paga. Piuttosto urge in un mondo pervaso da scorie da sovra-produzione. La svolta “etica” sembra tuttavia una nuova invenzione del marketing, ultima in un campo che le ha ormai tentate tutte; e che aveva creduto che anche le sue “bolle” (un caso per tutti, quello di Chiara Ferragni) avrebbero resistito all’inclemenza del tempo. Così dopo aver tracciato la filiera dei materiali (un po’ come si fa con una banana) e certificato l’incidenza sull’ambiente della produzione di un capo di vestiario prima di attribuirgli un valore “virtuale” sul mercato, il marketing dei beni di lusso ha scoperto l’utilizzo di materiali frutto di riciclo, e a basso impatto ambientale, quindi bio-based oltreché biodegradabili. Conciliando due mondi – lusso e sostenibilità – finora distanti.
La svolta eco-sostenibile del lusso
Pioniere dell’iniziativa è Kering, uno dei colossi del lusso mondiale cui fanno capo Gucci, Bottega Veneta, Brioni e Alexander McQueen, che ha annunciato di aver avviato una sinergia con una società giapponese leader nella produzione e sviluppo di bio-materiali tessili. Sinergia che mira a a trasformare i tessuti a fine vita e i rifiuti agricoli in nuovi materiali riciclabili a loro volta, perfettamente in linea con i principi dell’economia circolare.
La notizia riportata in questi giorni dalla stampa specializzata non sta tanto nella sinergia, ma su ciò cui tende nel lungo periodo: uno sviluppo su larga scala del progetto al fine di farne un sistema. Non si tratterebbe infatti di una novità poiché un marchio pioniere della sostenibilità nello stesso gruppo c’era già stato, fino al 2018, prima di passare alla concorrenza: Stella McCartney.
Il marchio del lusso della figlia del celebre Paul ha fatto da sempre (o meglio, dal 2001, anno della sua fondazione) del ricorso a materiali alternativi – e soprattutto di derivazione vegetale – la sua missione. Realizzando accessori che, in virtù del loro appeal sono stati apprezzati da più di una generazione, conquistando l’immaginario collettivo. Come nel caso della Falabella, declinata con successo anche in pitone senza averne mai spellato uno; sfruttando piuttosto la lavorazione del micelio, l’apparato vegetativo dei funghi, e dei suoi filamenti. Core business di un marchio che ha fatto da apripista anche alla produzione di scarpe vegan; più costose talvolta delle solite, in virtù del valore della ricerca e sperimentazione applicatevi.
Ogni innovazione reclama un mercato
Ma l’applicazione su ampia scala dei materiali definiti next gen, di derivazione cioè vegetale o da riciclo col pregio di essere riciclabili a loro volta, dovrà tuttavia confrontarsi con la risposta del mercato che, secondo le stime, non sarà valutabile prima del prossimo anno, come riferisce la stampa specializzata. Un anno di tempo necessario dunque per capire se la diffusione dei materiali next gen riuscirà a battere addirittura la concorrenza di poliestere e viscosa, materiali al momento attuale massivamente impiegati per la loro versatilità e convenienza. Di fatto i materiali next gen si stanno diffondendo, ma manca ancora la trazione del mercato. La sfida per il prossimo anno risulterà dunque vinta nel momento in cui le start-up riusciranno effettivamente ad attuare i piani di espansione previsti. Economia circolare sì, ma pur sempre economia.
Quando l’economia si dice circolare
Ma cosa s’intende per economia circolare? Si tratta di un modello economico che si basa sul riutilizzo e il riciclo dei materiali, sia biologici che tecnici, con l’obiettivo di ridurre rifiuti e sprechi. Questo modello si ispira ai processi naturali degli esseri viventi, in cui i rifiuti di uno diventano risorse per altri. L’economia circolare si fonda su cinque principi cardine: sostenibilità delle risorse, ovvero la soddisfazione dei bisogni di oggi senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i loro; il prodotto come servizio, secondo un modello di business che consiste nell’offrire un prodotto come un servizio continuativo, invece che come un’acquisto unico. In questo modello, il consumatore paga per l’utilizzo del prodotto, invece di acquistarlo. L’economia circolare si fonda poi sulle piattaforme di condivisione che determinano la sharing-economy, favorisce l’estensione del ciclo di vita oltreché il recupero e riciclo del bene.
I benefici dell’economia circolare
L’economia circolare offre molti vantaggi, sia per l’ambiente che per la società. Come l’eliminazione dei rifiuti, riducendoli e trasformandone i materiali biologici e tecnici in risorse destinate ad altri cicli produttivi e la preservazione delle risorse naturali, utilizzando energia e materie rinnovabili, riciclabili o biodegradabili, limitando così lo sfruttamento delle risorse fossili e non rinnovabili. L’economia circolare si prefigge la riduzione dell’inquinamento, contribuendo a diminuire le emissioni di gas serra e di altre sostanze inquinanti, migliorando quindi la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo. L’economia circolare stimola poi innovazione, competitività, produttività e la creazione di nuovi posti di lavoro in settori emergenti o in trasformazione. L’economia circolare favorisce infine la transizione verso un modello economico e sociale più equo, inclusivo e responsabile, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.